mercoledì 10 ottobre 2007

I contingenti: la sfida; il campo

I contingenti:
La sfida
Connotato principe anche se non essenziale dello sport è la sfida. La sfida puo’ essere intesa come sfida contro se stessi e sfida contro l’altro (singolo o squadra). Nella sfida contro sè viene a presentarsi un altro elemento correlato ossia la sfida contro i propri limiti.
Il dialogo io-io che abbiamo citato sopra è alla base della sfida. Sia nello sport individuale che nel gioco di squadra vi è la sfida contro sè. Io posso pensare di migliorare le mie prestazioni sia che esse si manifestano in una squadra oppure in una competizione in cui gareggio da solo.
Quando io dialogo con me stesso, entro in relazione con il mio io manifesto ossia conscio e indirettamente con il mio io nascosto, inconscio. Facciamo un esempio: devo affrontare una gara, per fronteggiare questa gara mi sto allenando, durante l’allenamento dialogo con il mio io e, in questo dialogo affronto le mie capacità e i miei limiti e cerco di conoscerli per migliorare le prime e superare i secondi. Ma a livello latente ci sono le manifestazioni inconsce dell’io: paura, ansia da prestazione, panico pre-gara, insoddisfazione, frustrazione, desiderio di vincere, paura dell’avversario. Il desiderio di vincere e la paura dell’avversario sono anche a livello conscio ma agiscono molto più sottilmente a livello inconscio tradendomi nel momento meno opportuno se non le affronto adeguatamente e non imparo ad accettarle e ciò avviene sempre dialogando con il mio io e controllandone le emozioni. Ora ogni essere umano e quindi anche l’atleta è un ente imperfetto e non ha nessuna pretesa di forgiarsi perfetto in alcunché. La superbia di qualche atleta è proprio data dalla mancanza di consapevolezza di tale difetto. Però nel dialogo con sè in cui il tema dell’imperfezione emerge più o meno chiaramente l’atleta cerca di inquadrare il propri limiti e li vuole superare, sfida se stesso in una lotta con sé e con il limite di sé per accorciare la distanza verso la perfezione. Se miglioro una prestazione ho accorciato tale distanza e sono soddisfatto. Tale risultato mi porta a credere maggiormente in me stesso e a risolvere quelle paure inconsce sopra citate che danneggiano il mio io e il risultato a cui esso tende. Avviene poi la sfida con l’avversario e il dialogo io-io si trasforma in dialogo io-tu. Dialogo con l’avversario che puo’ essere anche solo mentale (la cinematografia ci offre un sacco di esempi di tali dialoghi muti), dopo averlo studiato nei suoi pregi e difetti ossia in quel lavoro che parallelamente a me lui ha fatto con se stesso. La sfida si basa sul confronto di pregi e difetti di entrambi e tende al superamento dell'alto in tali esibizioni di sé. Superando l’atro posso affrontare anche la sfida con me magari battendo l’avversario e stabilendo un record. Raggiungo un risultato (scopo) sia con me sia con l’altro, la sfida è vinta due volte.

Il campo
Si chiama fattore campo e molti sostengono che incida sull’effetto di una prestazione molto spesso in positivo a volte in negativo. Proviamo a capire perché. Il fattore campo è quando l’atleta o la squadra giocano-gareggiano in un determinato luogo che, se è quello abitudinario viene chiamato “casa”, se è quello dell’ospite viene chiamato “trasferta”. Giocare in casa o in trasferta spesso fa la differenza e incide sul risultato. Nel giocare in casa l’atleta allarga il dilago io-io o io-tu a un neutro quid: il campo di gara familiare. Quid perchè non è un soggetto come nel primo caso ma un luogo però un luogo noto quindi studiato con i propri difetti e le proprie qualità che non essendo note all’avversario avvantaggiano l’atleta di casa. Però qualche volta capita che l’effetto campo si riversi come un boomerang sull’atleta autoctono perchè interviene l’ansia da prestazione. Ci si aspetta da lui di più perché appunto gioca in casa e quindi parte avvantaggiato, favorito. Questo aumenta l’adrenalina e l’energia che, se controllata e usata positivamente favorisce la prestazione; se però è troppa e quindi ingestibile la danneggia. Alla carica si aggiunge la paura del fallimento che incide su quanto poi si andrà a realizzare e perciò sul risultato. Nel fattore-campo dobbiamo considerare anche il fattore tifo che ne è una componente fondamentale. Chi gioca in casa ha il tifo dalla sua, nel dialogo di cui parlavamo si aggiunge un “noi” generico, da contorno che però durante la prestazione ha il suo effetto. La sua voce incitatrice sollecita l’adrenalina e le emozioni dell’atleta che viene invogliato a fare di più e meglio per soddisfare, oltre a sé, anche il tifo, cioè coloro che amano l’atleta e si aspettano da lui una prestazione vincente che soddisfi il bisogno di vittoria che essi provano nello stesso tempo immedesimandosi con lui. Anche il tifo come il campo presenta un feedback negativo per l’atleta perché il dialogo muto che il tifoso costruisce con lui gli fa percepire le aspettative del tifoso e la simbiosi che il tifoso ha con lui. L’atleta sente il peso dello scambio emotivo che ha con il tifoso, le aspettative del tifoso divengono le aspettative dell’atleta; l’atleta si sente investito di un ruolo doppio: soddisfare sé e soddisfare chi ha fiducia nelle proprie abilità. E’ come se avesse un doppio io sulle spalle: sé e chi si riconosce in lui.
Il dialogo con il tifo è un dialogo a senso unico fino alla fine della gara, l’atleta percepisce il tifo, neanche ascolta, lo sente come sottofondo, come se fosse una musica che stordisce e incita e accentua il dinamismo volontario dell’azione verso la vittoria. Alla fine l’atleta risponde al tifo e il colloquio diventa un dialogo; l’atleta ringrazia se vince, ignora il tifo se perde o ringrazia comunque se ha fatto una buona gara senza risultato utile. Si instaura un rapporto di fiducia “do ut des” che deve essere curato dall’atleta, il tifoso dà e basta, perché il tifo è come la moglie fedele che, se trascurata, si stanca e cerca un prato più verde. Teniamo conto però che la trascuratezza si basa soprattutto sulla prestazione che è il piatto principe del matrimonio tra atleta e tifo, chi non vince alla lunga viene abbandonato.