Un giudice soggettivo
Ogni giudice lo è in quanto essere umano e persona. Ognuno ha sopra di se la legge sovrana che però interpreta e applica. Ognuno ha una coscienza a cui risponde. Di certo ha un compito impopolare e difficile. In una contemporaneità dove le regole stanno strette, anzi strettissime, dove il gioco è sfogo e divertimento, proporsi come un sostenitore delle stesse e un suo difensore per definizione non rende il compito facile ma necessario. Il giudice di gara fa parte del gioco, ne è il simbolo della tutela delle regole e quindi della sua esecuzione, della sua stessa esistenza. Non esiste gioco senza regole e non ci sono regole senza gioco. L’obiettività è la sua bandiera e l’integrità il suo baluardo.
Il giudice di gara rappresenta l’imparzialità obiettiva possibile per un soggetto. E’ una contraddizione in termini: il soggetto tutela e propone un che di oggettivo ma come sempre lo interpreta e quindi lo fa soggettivamente. Ma l’obiettività deve essere garantita. Allora si chiama in campo la virtu: l’habitus a resistere alla tentazione di preferire questo e quello, di punire al di là del ruolo per idiosincrasia. Ci verrebbe da dire che per essere buoni arbitri bisognerebbe non essere umani, macchine. Infatti la moviola è una macchina, le riprese lo sono ma il giudizio rimane personale, umano. Ognuno giudica se stesso e i propri simili. Una macchina propone un giudizio standardizzato: l’uomo è complesso e anche nel gioco ha bisogno di giudici flessibili che sappiano applicare e interpretare oltre la mera probabilità statistica che la macchina calcola. La soggettività umana, per quanto paradossale possa essere, garantisce la miglior obiettività di giudizio perché conosce e comprende i propri simili. La macchina non ha queste doti. Nel gioco ci sono giocatori e l’arbitro fa parte del gioco, gioca con gli altri. Solo che il suo ruolo è super partes.
Ogni volta che ci si affida ad un giudice unico ci si deve fidare di lui e nell’arbitro è riposta la fiducia di tutti: atleti e pubblico. La fiducia nell’arbitro è la fiducia nell’uomo, nelle sue competenze, nella sua lucidità, nella sua corretta posizione in campo, nel suo giudizio sportivo. Che significa giudizio sportivo? E’ un giudizio che si basa sul rispetto delle regole (vero elemento obiettivo della gara) e nella loro tutela e applicazione da parte del direttore di gara. Quale è il mezzo attraverso cui l’arbitro si erge a giudice e applica le regole sovrane? Il giudizio inappellabile che, dopo essere stato pronunciato, non è revocabile. Per fortuna sennò le gare non avrebbero mai fine e l’emozione della sconfitta e della vittoria andrebbero perse perché vivono anche del giudizio arbitrale. Il punto di vista dell’arbitro è come quello del filosofo, a 360 gradi, il più possibile onnicomprensivo ma anche consapevole della propria fallibilità che costringe il giudice all’attenzione e alla correttezza in campo: so di poter fallire e cercherò di non farlo nel migliore dei modi possibili.
(n.d.m. ringrazio il mio amico Marco Grena, arbitro, per le opinioni e notizie che hanno contribuito a creare questo articolo)