venerdì 4 gennaio 2008

Filosofia dello sport, appendice: la sconfitta

Introduciamo qui una delle appendici che seguono il saggio. Il motivo è che l'argomento è di attualità ed è irrilevante ai fini della comprensione seguire l'indice del testo originario in questo blog. Se volete il libro lo potrete visionare cliccando sul link della barra a lato. E' disponibile per l'acquisto.
Qui ci sentiamo liberi di seguire un ordine empatico.

La sconfitta
Tappa obbligata nel percorso di un atleta, la sconfitta forma. Come ogni esperienza ha il suo valore formativo a patto che la si valuti con il giusto peso e la giusta misura. Nel dialogo io-tu la sconfitta diventa protagonista e diventa il tu. Uno spauracchio da superare e ridurre alla memoria dell’io. Un fantasma che pesa sulla coscienza dell’atleta perché comunque è portatrice di elementi negativi sia per il prestigio sia per la carriera sia per l’auto stima dell’atleta. La sconfitta è come un mostro dalle mille teste e dalle innumerevoli sfumature. Implica differenti riflessioni su di sé, sul rapporto con il proprio io (sia mente sia corpo). Deve essere accettata dall’atleta, interiorizzata come parte del sé per attribuirle il giusto valore e per assumerla come esperienza di crescita e non semplicemente come fallimento. La sconfitta non è solo un fallimento, è un passaggio, è un’occasione per riflettere si di sé: sulle proprie aspettative, sui propri obiettivi e sui propri errori. Il feedback della sconfitta ricade primieramente sul corpo. Il corpo sconfitto si sente sfiancato, debilitato, distrutto, annientato. Il peso del fallimento lo tocca facendo emergere tutta la stanchezza e l’inutilità degli sforzi compiuti. Nel dialogo io- tu non bisogna lasciare alla sconfitta il predominio né lasciare che il corpo prenda il sopravvento sulla mente. Bisogna digerire, fagocitare il momento di sconforto e passare oltre. Il passare oltre implica una grande riflessione su quanto avvenuto. Non si può dimenticare e basta. La sconfitta non sarebbe accettata e di conseguenza non sarebbe interiorizzata nel modo corretto. Bisogna comprendere i motivi che l’ hanno provocata ed accettarli come momento di crescita e di accettazione del sé in quanto fallibile. L’abbiamo già più volte ribadito, l’atleta non è un Dio e pertanto fallisce come ogni essere imperfetto. La sconfitta può essere causata da diversi fattori: la sfortuna, l’assenza di preparazione, un infortunio non previsto, un incidente sul campo, una preparazione inadeguata, uno scarso convincimento delle proprie abilità. Qualsiasi sia il motivo della sconfitta, esso deve essere individuato e accettato dall’io che lo usa come modello negativo, da non ripetere. E’ una riflessione su di sé e sulle proprie abilità che deve essere fatta considerando anche tutte le circostanze che attenuano la colpa. Ma la sconfitta implica un’assunzione di responsabilità e tale assunzione implica una presa di coscienza dell’errore compiuto, perché la sconfitta è conseguenza di errori. Tali errori possono essere in parte indipendenti dall’atleta o dalla squadra e la fortuna sicuramente ha la sua parte. Ma la sconfitta ha una causa o più cause e alcune di esse risalgono all’io e al suo rapporto con sé e con il proprio corpo. La domanda più plausibile che ci si deve porre è: Dove ho mancato, dove non ho sentito il mio corpo? Dove l’ho perso per strada, dove sono caduto nel controllo del corpo da parte della mia mente? Trovando risposte a queste domande la sconfitta assumerà il reale valore per la quale essa guadagna il connotato di esperienza e diventa davvero formante.