lunedì 29 ottobre 2007

I contingenti: la durata e il post

La durata
La durata di una manifestazione sportiva e quindi di una gara, anche se è definita nei tempi da un orario e da un regolamento, non è sempre uguale, non è per tutti uguale e soprattutto non è percepita da tutti nello stesso modo. Una partita di calcio dura 45 minuti + 45 minuti ma dobbiamo considerare i tempi di recupero e le decisioni arbitrali. Una gara di sci nautico (slalom) dura in media pochi minuti ma si puo’ fermare subito o continuare fino a chiudere il percorso. Ma puo’ finire un istante dopo che si è partiti se si prende la boa o se si cade. Una partita di tennis puo’ durare mezz’ora o tre ore, le variabili sono infinite. Il tempo inteso come durata di una prestazione incide sia sulla resa dell’atleta sia sulla bellezza dello spettacolo e quindi sull’apprezzamento di esso da parte del pubblico.
Consideriamo che il fair play diminuisce di molto la sensazione che il tempo sta passando, si è tutti concentrati sul bel gioco, atleti e pubblico, è il tempo diviene solo un elemento di sottofondo. Mentre quando il proprio idolo perde e la squadra va male o la gara finisce in caduta il tempo diviene pesante da sopportare, non si vede l’ora che finisca ed è per tutti così: atleta, allenatore, squadra, pubblico.
Cosa incide nella percezione del tempo?
Le aspettative indubbiamente. Se ci si aspetta che sarà una bella gara ed è così il tempo scorre senza essere notato, rimane in ombra, protagonisti sono l’atleta e il gioco. Se le aspettative vengono disattese il tempo diviene protagonista inevitabile della prestazione negativa e accentua la disillusione e il dolore per la sconfitta. Il tempo viene misurato in base alla sofferenza che si prova mancando un obiettivo da parte dell’atleta, osservato e sofferto anche da parte del pubblico. Il tempo si ingigantisce o si annulla in base all’aspettativa assolta o delusa. Nel dialogo io-io e io–noi, che abbiamo descritto, il tempo incide allargando la percezione di sconfitta perché si ha la sensazione di un dolore prolungato e diminuendo e quasi azzerando se stesso se prevale il senso di gioia dato dalla vittoria. Il tempo si annulla e vale solo l’emozione forte di aver centrato un obiettivo. Nel dialogo io – noi il pubblico parla con l’atleta quel linguaggio muto o sentito di esortazione che descrivevamo prima e l’euforia per la vittoria azzera il tempo, sembra che duri solo un istante come la felicità. Invece quando si percepisce la sofferenza, nel dialogo - che in questo caso è quasi sempre muto perché prevale lo sconforto che fa tacere anche il tifo più animato - il tempo è lunghissimo, percepito inesorabilmente come realtà che non passa e non riduce il peso della disfatta. Anche l’atleta si ammutolisce e percepisce per tutta la lunghezza della prestazione, anche dopo la sua singola esibizione, il dolore del risultato negato che dura infinitamente. Se ne esce forse solo a gara terminata.
Quindi: il tempo dilata le emozioni o le restringe a seconda del risultato e influenza il dialogo enfatizzandolo con l’incitamento sempre più audace se si vince e con l’annullamento di esso se si perde. Altra cosa è la percezione del tempo per l’atleta, Il tempo incide sulla prestazione dell’atleta perché, se si dilata, viene meno la concentrazione, se è troppo breve non ci puo’ essere sufficiente tempo per abituarsi all’idea. Ma questi temi troveranno una spazio più adeguato quando tratteremo dell’atleta come figura in sé.


Il post
Quando si pensa a una prestazione sportiva si è portati a considerare la prestazione in sé. E’ difficile che qualcuno si fermi al dopo, tutti se ne tornano alle loro abitudini più o meno soddisfatti. Chi si sofferma a pensare al post gara sono sicuramente i protagonisti che meditano sulla vittoria o sulla sconfitta. Ho visto molti allenatori che riguardano le prestazioni dei propri atleti o quelle degli avversari per valutare pro e contro, errori e difetti, pregi e virtù, tattiche e modi, modifiche da registrare. Il dopo è il tempo della riflessione sul prima e sul durante ossia su quanto è avvenuto, su ciò che poteva essere modificato su ciò che c’è da migliorare. La tendenza dell’atleta ad andare verso il meglio si vede anche in queste riflessioni post gara. Nel dialogo con sè l’atleta rivive flash delle proprie performances e comincia a dialogare con sè per vedere dove e come puo’ interagire con se stesso per modificare o mantenere ciò che è meglio riuscito magari fortunosamente. Il dialogo io-io assume una connotazione temporale basata sul ricordo e sulla meditazione nel ricordo. Spesso appare sfuocata, appena ottenuto il risultato o appena mancato un obiettivo. In quel momento interferiscono le emozioni: la gioia o la delusione che offuscano le riflessioni razionali. A lungo termine però il ricordo diventa la base su cui dialogare con sé, il materiale di discussione per così dire che nel dilago io-io interagisce e ha come obiettivo il miglioramento di sé al fine di ottenere lo scopo ossia un risultato migliore. Il ricordo non va ignorato. Tanto è vero che ora la tecnologia aiuta a fissare qualcosa che prima era affidato esclusivamente alla memoria. Grazie all’ausilio della tecnologia si può vedere sé come fuori di sé come un altro da sé da giudicare passo, passo per definire in maniera più obiettiva quanto il nostro sé in quella particolare prestazione ci abbia più o meno soddisfatto. Il distacco da sé garantito dalla tecnologia (ci vediamo in un video per es.) è un ottimo strumento di distacco dall’emotività che il dialogo io-io non puo’ impedire. L’annullamento o la diminuzione dell’emotività grazie al tempo passato e alla visione aiutano l’atleta a guardarsi dentro da fuori come un altro sé che giudica senza sconti il proprio sé e lo induce alla modifica. Non è da tutti questo passaggio: i più emotivi ed orgogliosi non lo sanno fare; ma è un traguardo che si è costretti prima o poi a raggiungere pena la mancanza di obiettività nei confronti dei propri limiti e la perdita di coscienza dei propri obiettivi; pena la caduta nel risultato.